Tra i tanti casi che vedono le major
dell’intrattenimento contrapposte spesso alle associazioni di
consumatori e a volte anche ai provider nella guerra tra protezione dei
privilegi economici da un alto e diritti dei consumatori e rispetto
delle più elementari leggi civili dall’altro, il caso FAPAV ha tenuto
banco nella parte iniziale di quest’anno, per quanto riguarda il nostro
Paese. Ora arriva la prima svolta: il Tribunale di Roma sentenzia che
non c’è obbligo di denuncia da parte dei provider.
Si chiude con una sconfitta per le
associazioni che spalleggiano l’industria multimediale questo primo
round, conosciuto anche come caso FAPAV. Questa associazione
(Federazione Anti Pirateria Audio Visiva) aveva infatti chiesto al
tribunale di obbligare Telecom Italia a denunciare i propri utenti che
facevano un uso illegale della propria connessione. Per muovere questa
accusa però la FAPAV aveva indagato privatamente, senza alcuna
autorizzazione, spulciandosi ben bene centinaia di migliaia di utenti
Telecom avvalendosi della collaborazione di un’azienda privata, la
CoPeerRight Agency, che probabilmente ha usato strumenti illegali, come
programmi di sniffing etc. Su queste basi molto legali quindi
l’associazione ha avuto l’arroganza di chiedere al tribunale civile di
imporre a Telecom di divulgare i nomi degli abbonati corrispondenti agli
indirizzi IP identificati, il tutto ovviamente in nome del rispetto
delle leggi, quelle stesse che erano appena state calpestate.
In ogni caso il Tribunale di Roma ha
invece sentenziato stabilendo che un’associazione non può chiedere a
Telecom di rivelare i nomi degli utenti e di denunciarli all’attività
giudiziaria, ma che dev’essere un giudice a fare questo; inoltre
Telecom non può e non deve bloccare l’accesso ai presunti siti. Il
motivo di fondo è che non è responsabile delle attività pirata degli
utenti. In questo modo quindi il giudice ha recuperato tra l’altro la
nota norma europea del codice delle comunicazioni elettroniche, secondo
cui gli intermediari non sono responsabili di quello che fanno i propri
utenti. Telecom addirittura, secondo la sentenza, non è obbligata
nemmeno a informare gli utenti, cioè ad avvisarli che stanno commettendo
illeciti e a persuaderli di smettere. Sono infatti tutti provvedimenti
“da ritenere di competenza dell’autorità giudiziaria investita
dell’accertamento delle violazioni”.
Insomma, l’industria del copyright deve
seguire la via classica, niente scorciatoie: possono soltanto denunciare
il fatto alle autorità giudiziarie, a cui spetta poi il compito di
ottenere dal provider i nomi degli utenti o di oscurare i siti
sospettati di favorire la pirateria. Vittoria su tutta la linea dunque
per Telecom Italia.Per il momento, almeno.
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